L’azzardo di Obama Una tenue promessa di pace In questi ultimi giorni Teheran è apparsa quella di sempre, dove l’ayatollah Khamenei viene citato mentre dice di voler combattere gli Stati Uniti, in qualunque circostanza, ed il presidente Rohani, guida una marcia di odio dove la bandiera a stelle e strisce viene bruciate insieme a quella con la stella di David e la folla scandisce: “morte agli Usa, morte a Israele”. Eppure è difficile guardare all’accordo firmato a Vienna sul nucleare, con gli stessi occhi del governo israeliano che pure ha giuste preoccupazioni. Il lato debole dell’accordo sono le ispezioni. Se gli iraniani si comporteranno nello stesso modo in cui Saddam Hussein trattava gli inviati dell’Onu, ecco che ci ritroveremmo immediatamente sull’orlo di una crisi. Obama non ci ha mai dato l’impressione di sottovalutare questo aspetto, tanto che al Pentagono mentre si svolgeva il negoziato approntavano una “cluster bomb”, la più potente quanto a penetrazione di bunker corazzati sotto la roccia. D’altra parte, come poteva l’America dire no ad un accordo sul nucleare? Sarebbe stato come passare ad una mano decisiva di una partita a poker che dura quasi mezzo secolo e che ha la stessa esistenza del mondo in paio, non solo di Israele. Perché se l’Iran non torna un partner strategico, difficilmente l’occidente riuscirà a tenere a bada l’ondata jhiadista da cui ancora Israele non è stata investita. Capiamo perfettamente che il governo dello Stato ebraico si senta nell’occhio di un ciclone. Con gli ayatollah che ti minacciano ogni giorno di volerti spazzar via non c’è da scherzare. La speranza di Obama è di evitare il conflitto armato, compiere un passo alla volta, fino alla distensione. È vero l’Iran avrà il nucleare, ma l’opportunità di uno sviluppo pacifico, potrebbe essere più forte del desiderio di ingaggiare una corsa verso la distruzione. Non c’è certezza, sia chiaro, per cui bisogna restare all’erta, ed è utile avere chi resta con il dito pronto sul grilletto, come Netanyahu. In quel caso Obama farebbe la figura del fesso e questa volta questa gli resterebbe addosso, senza appello. Il presidente che si è fatto gabbare dagli iraniani, dopo quello che si era fatto gabbare da Arafat. Se invece Obama vincesse il suo azzardo, ecco che Israele e tutta l’area sarebbe libera dalla pressione di una potenza militare regionale come l’Iran, più preoccupata dei problemi concreti che gli rivolgono, i sunniti radicali ad esempio, che di quelli ideali che gli pone l’esistenza di uno Stato che discende dal tempo del faraone. Roma, 14 luglio 2015 |